IL BESTIARIO DI TRUBBIANI La mostra che Valeriano Trubbiani ha in programma per il 15 novembre negli spazi della «Quadreria Blarasin» di Macerata, rivela un interesse critico particolare, in quanto l’artista – che è faber nobilis, ossia scultore incisivo e dotto e insieme forgiatore di macchine reinventate e di memoria – affida al disegno la sua prominente immaginazione creativa. Dalle presentazioni dei tre critici in catalogo, mentre si conviene che il suo è un segno di «natura progettuale» e come tale portato a prefigurare «soluzioni plastiche» (Enrico Crispolti), viene escluso che la funzione del segno sia di preparazione dell’opera plastica (Goffredo Binni). D’altra parte, il manufatto – possedendo l’artista marchigiano una forte visionarietà, peraltro collegata al senso della memoria e al tempo della storia – non illustra gli accadimenti delle epoche inquiete e spietate, ma insegue piuttosto «le ombre lunghe della memoria e dell’inconscio», e le proietta in uno scenario in cui la lucidità del segno non esclude il grottesco e insieme il terrifico (Alvaro Valentini). Infatti, il segno di Trubbiani, che è un potente mezzo d’incisiva chiarezza, non si limita ad evidenziare la secca rigorosità limitare della linea, ma, possedendo una componente materica, è portato al rilievo plastico e perciò a far risaltare le certezze iconografìche. Da qui lo svolgimento in mostra di un favoloso bestiario e di racconti impiantati sulla visione fantastica di paesaggi rurali e di architetture di improbabile antichità, abitati da rinoceronti ed elefanti, da rane e gatti. La fantasia non è un demerito per la lucida veridicità del segno grafico, e questo conferma come l’unilaterale e originale presenza dell’opera – rivestendo il carattere della qualità – ritrovi la dimensione più generale della grande concezione estetica.
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