Un sessantennio di vita artistica maceratese
Massetani Lamberto un uomo sempre sorridente, non molto alto, anzi diciamo francamente di piccola mole; due baffetti alla moda, sempre impeccabile; non lo abbiamo visto mai in disordine nemmeno quando si «appiccavano» i quadri.
Questa dell’appiccare i quadri era una cosa seria. Deve sapere il lettore che a quell’epoca, ed in certe occasioni grandi lo si fa pure oggi, gli artisti partivano con le loro opere una ad una sotto il braccio; a volte in taxi; giunti in galleria si disponevano i quadri in terra lungo le pareti; e lì a guardare; prendi questo, sposta quello, ritorna indietro; no! si! così va bene e giù a «biastimare» perché un chiodo non entrava nel muro.
Poi la collocazione, tutti sulla stessa base in linea continua, oppure «in ordine sparso»; il grande vicino al piccolo un tema vicino all’altro e così via.
A far questo lavoro erano gli artisti; quelli che credevano alla loro opera che l’amavano e che a volte non volevano cederla e «se proprio capitava» alla soddisfazione del «realizzo» subentrava lo sconforto della perdita.
Gli artisti a quei tempi non erano venali; anzitutto l’opera veniva ceduta a chi era amato dall’artista medesimo, mai al primo sconosciuto.
Conosco, ma cosa dico amo fraternamente Umberto Peschi (così come amavo il fratello Alberto) uno scultore degno del massimo rispetto: ebbene state pur tranquilli che Peschi potrebbe morire di fame, ma le sue opere le cede solo a chi gli è simpatico, e per essere simpatici a Umberto Peschi è necessario prima comprendere certe cose e poi capirlo; non si può comprare quello che piace sol perché si hanno i soldi.
I vecchi futuristi erano così: e Massetani era uno di loro.
E così torniamo all’uomo.
Comprese il futurismo e ne assimilò immediatamente l’essenza; fu vicino a Tano ed ebbe lodi da lui, conobbe Marinetti e lo ricordiamo correre con i piccoli veloci passi vicino a quelli del Monachesi e del Tano; il passo di coloro che, più piccoli di statura, debbono avere di fronte a chi ha le gambe più lunghe.
Polemico, ma non alla Monachesi, non alla Bartolini; diceva francamente il suo pensiero. Insegnava ed era amato dai ragazzi, amava la famiglia, amava la moglie.
Del resto i futuristi erano fatti così.
Marinetti nella sua lunga vita di scrittore, poeta, guerriero e chi più ne ha più ne metta, amò moglie e famiglia.
Dire di Massetani è parlare del gruppo.
La pittura di Massetani fu subito notata ed annotata; di lui soprattutto colpivano i colori una spiccata velocità di realizzo che – intendiamoci bene – non era frutto di frettolosità ma di sicurezza nel tratto.
E qui dobbiamo per forza di cose ricordare che questi giovani futuristi maceratesi erano anche e soprattutto degli ottimi disegnatori; anche oggi a distanza di tanti anni guardando i disegni dell’epoca si resta interdetti.
Si pensi che in quegli anni i colori acrilici, i pennarelli !erano cose al di là da venire; si usava la matita nera, la gloriosa «Faber» n° uno, numero due, numero tre; si sfumava con un rotolino di carta assorbente o con le dita; i mezzi erano poveri; mai, quasi mai, l’aborrito inchiostro; e quei disegni aventi carattere definitivo o preparatorio di pitture erano mirabili; degni assolutamente dell’opera finale.
E Massetani era disegnatore finissimo, di pura eleganza formale. Quella era gente che – si ricordi Bartolini – girava sempre con un blocchetto in tasca, e appena aveva una idea la fissava in un appunto.
Una volta vedemmo taluni taccuini di Prampolini; piccoli, stupendi, un gioiello; Massetani lavorava così e per far ciò bisogna avere intelligenza ed intuito.
Chi è in grado di fermare in un attimo, o meglio ancora di notare il movimento di una ruota che gira?
Appunti, ricordi di uomini che non solo sono stati ma che esistono ancora oggi, anche se «giacciono» e se non li incontriamo più per la strada.
Goffredo Binni