Stelluti Roberto

Stelluti Roberto

Come il giacinto, sui monti, i pastori calpestano e a terra il fiore purpureo il capo reclina…

Saffo, fr. 117                 Trad. di Angela Fabrizi

ÉPHÈMÈRE: il filo fatale della caducità lega tutte le cose di questo mondo, le unisce ineluttabilmente nel ciclo cosmico della dissolvenza. Questo Stelluti esprime. Eppure egli ama la vita, la sente palpitare e ne rimane estasiato.

Scrive: “(…) Ci sono giornate tra maggio e giugno, incredibili: la natura raggiunge il suo più alto splendore (…) È questa la mia stagione (…) Al mattino, tra ciuffi d’erba spontanea, si apre quella pianta meravigliosa che è il soffione o <>.  L’ho disegnata più volte, attratto dalla sua bellezza, dalla forma perfetta data dagli acheni lanosi. Sembra nata per essere disegnata da un incisore. All’interno della sua perfetta infiorescenza è qualcosa di magico, una sorta di labirinto che non mi stancherò mai di ammirare. È commovente, è un miracolo che si ripete  ogni anno. (…)”

Ma la fine di tutto è insita nella vita stessa: si nasce e già qualcosa comincia a morire. Tutto passa. La cometa ci cattura, ci affascina, poi scompare.

“ (…) Molte volte mi avvalgo di soggetti che meglio di altri riescono ad evocare il <>, la vanità della vita: l’inquietudine che grava dentro i miei opifici abbandonati, i girasoli disseccati e contorti sotto il sole (…) sono simboli che, descritti con una miriade di segni, rimandano a una seconda realtà. (…)”

La coscienza del fluire eterno delle cose non genera nell’autore angoscia, bensì una sorta di languore, di melanconia controllata, dell’anima più che del cuore.

L’editore

Visualizzazione di 3 risultati

Visualizzazione di 3 risultati